Cenni storici sul Comune di Aci Catena

Aci Catena, adagiata nella vallata del fiume Aci, a 170 mt. di altitudine, ha una superfice di 8,45 Kmq. ed una popolazione di circa 26.000 abitanti, raggruppati nei centri abitati di Aci Catena, Aci S. Filippo, Aci S. Lucia, S. Nicolò, Vampolieri, S. Anna. Il toponimo del Comune, che si è costituito nel 1826, deriva dal culto a Maria SS. della Catena che si diffuse in seguito al Miracolo di Palermo, alla quale è intitolata la Chiesa Madre, esistente dal XVI sec., con una duplice festa che si celebra l'11 Gennaio e il 15 Agosto di ogni anno.
Stemma
Stemma del Comune
La storia di Aci Catena è molto ricca.
Originariamente il territorio del Comune aveva tanti nomi quanti sono gli attuali rioni, borgate e contrade: Reitana, S. Venera al Pozzo, Nizzeti, Mangano, Nova, Cubisia, Pezzagni, S. Filippo, S. Nicolò, Scarpi, Catena, Finocchiari, Ragiti, Cantarelli. Questi nuclei esistevano fin dal IX sec:, tranne i rioni di Scarpi, Ragiti (l'attuale S. Giacomo), Cantarelli (l'attuale Consolazione) e Finocchiari che sono tutti cognomi di famiglie patrizie che risalgono ad una data immediatamente posteriore al 1169.
Nel territorio dell'acese, nella contrada anticamente chiamata "delli Scarpi", fin dal XV sec. sorse un altarino raffigurante la Madonna della Catena, cioè della Madonna liberatrice e giustiziera, consolatrice degli affanni dei fedeli che a Lei si rivolgono fiduciosi.
Dove sorse quell'altarino venne eretta la Chiesa che fu distrutta dal terremoto dell'11 gennaio 1693; miracolosamente allora rimase in piedi soltanto il coretto della Madonna.
Appunto per questo da più di trecento anni la data dell'11 gennaio ogni anno viene ricordata in Aci Catena dal popolo devoto con una particolare cerimonia di Ringraziamento alla Madonna che "CI SALVO' ", secondo la felice espressione del Vescovo Mons. Salvatore Bella, già insigne Prevosto di Aci Catena, le cui spoglie mortali riposano a fianco della Cappella della Madonna.
Palazzo del Principe
Palazzo del Principe
Nel 1672 si stabilirono nella Città i Principi Riggio di Campofranco e Campofiorito, i quali, nonostante esercitassero una dominazione di tipo feudale, diedero lustro e splendore alla Città con la loro munificenza.
Nel 1747 il Principe Luigi Il Reggio, ritiratosi dall'attività politica, si stabilì nella Cittadina dove fece costruire il suo sontuoso palazzo, detto comunemente "II Palazzo del Principe", i cui resti assai fatiscenti, quali il famoso Arco, si ammirano a fianco della Chiesa Madre.
Le attuali parrocchie del Comune di Aci Catena sono sei: S. Filippo d'Agira, la più antica Chiesa di tutto il territorio acese sul cui frontone si legge "Totius Acis Mater et Caput", sede di insigne antica collegiata; S. Maria della Catena, Santuario Diocesano dal 1954, sede di collegiata; S. Lucia, sede di antica collegiata; S. Giacomo; S. Maria della Consolazione; S. Nicolà. Numerose sono tutte le attuali Chiese di Aci Catena, esattamente 21: S. Venera al Pozzo tra i ruderi romani, S. Nicolà, Eremo S. Anna, S. Filippo d'Agira, S. Giuseppe in Aci S. Filippo, Finocchiari, S. Giuseppe Centro, S. Elena e Costantino detta dei "Morti", Santuario Matrice Maria SS. della Catena, Badia, SS. Sacramento, Indirizzo, S. Lucia, Madonna della Sanità, S. Maria delle Grazie, S. Giuseppe in S. Lucia, S. Giacomo, S. Barbara, S. Maria del Sangue, S. Maria della Consolazione, S. Antonio di Padova detta del Convento.
La Città di Aci Catena è entrata pure nel folklore siciliano per via di un tremendo disastro che nel '700 si abbattè su di essa. Nella notte del 4 Settembre 1761 una spaventosa alluvione causò molti danni. Come se non bastassero i 50 morti e le gravi distruzioni, il principe Reggio che risiedeva nella Città vi chiamò come Commissario il Marchese Tommaso Chacon (in dialetto Giacona), che con la sua arbitraria amministrazione provocò ulteriori guasti, volendo creare un nuovo letto al pericoloso torrente, per cui spese l'enorme somma di 278 onze: onde il popolo catenoto commentò tristemente "La povira cità di la Catina parti la sfici Diu, parti Giacona !". Il doloroso motto divenne popolare in tutta la Sicilia e Giuseppe Pitrè lo riportò nella sua raccolta di "Proverbi siciliani".