Mons. Salvatore Bella
III Vescovo di Acireale


Ci sembra doveroso dedicare un angolo del nostro sito ad uno dei personaggi più illustri della Città di Acicatena, illustre nella società civile, illustre negli ambienti ecclesiastici. Teologo, filosofo, storico, poeta, uomo saggio e di profonda spiritualità, Mons. Salavatore Bella è stato prevosto della Collegiata Matrice del Comune di Acicatena e Vescovo di Foggia, proposto alla sede Siracusana, rinunciò per motivi di salute e fu mandato ad Acireale dove guidò il popolo per pochi mesi.
Mons. Salvatore Bella
Mons. Salvatore Bella
(Aci Catena 22/09/1862 - Acireale 29/03/1922)
Foto: O. Greco


Un volto amico annuisce e quasi mi sorride dal bassorilievo di marmo, nella Chiesa Matrice di Acicatena, quando, addentrandomi nella navata di destra, mi porto verso l'altare della Madonna della Catena, patrona della città.
È il volto gaio di monsignor Salvatore Bella, terzo vescovo di Acireale, già vescovo di Foggia e proposto alla sede arcivescovile di Siracusa, da lui rifiutata per motivi di salute. Sembra che egli solleciti il visitatore a rivolgere l'attenzione verso l'immagine della Madonna, che anch'essa accenna sotto il cristallo ad un sorriso comprensivo, come se un'intesa percorra le due immagini e un legame strettissimo le concentri in un identico desiderio.
Nel febbraio 1897, il canonico Bella, dottore in teologia, professore di filosofia, sociologia e letteratura nel seminario di Acireale, membro della Società Siciliana di storia patria di Palermo e socio di varie accademie, diveniva prevosto della Chiesa collegiata di S. Maria della Catena,succedendo allo zio don Giuseppe Bella. Egli così inaugurava i dodici anni più vitali della storia religiosa e civica di Acicatena. La sua instancabile attività pastorale rivolta a tutti i livelli, il suo carattere felice e aperto, la sua inventiva saggia e adeguata ai tempi, talora precorritrice, hanno lasciato tracce durature, non solo nella strut­tura e nell'articolazione della vita parrocchiale, ma persino nella mentalità e nel costume della popolazione.
Fu confessore ambito e ricercato da colti e da incolti, organizzatore di associazioni cattoliche, di unioni professionali, di scuole e di doposcuola, di circoli ricreativi e di oratori, di casse operaie. Catechista, predicatore e oratore di fama non soltanto locale, scrittore, autore di poesie popolari religiose, soprattutto amico e consigliere di tutti.
Coltissimo, sempre studioso e zelantissimo, si mosse con agilità in qualsiasi ramo della pastorale ed anche in ogni campo degli studi: storici, umanistici, biblici, liturgici, naturalistici e sociali. Ma l'affetto per la sua terra e l'affetto per la Madonna restano le costanti perenni della sua vita e distinguono ogni sua fatica e iniziativa.
Da Acicatena a Foggia e da Foggia ad Acireale, i due affetti lo incalzano: «Fui educato ad un altare, innanzi ad un'immagine di Maria, patrona della mia terra natale, Maria SS. della Catena. Ora mi trovo innanzi a Maria dei Sette Veli, patrona di Foggia. Ma no, non è avvenuto un cambiamento. I due titoli si equivalgono. Lo Spirito Santo chiama la catena della Sapienza fascia e velo di salute. Dunque io trovandomi innanzi a questa immagine mi sentirò nella mia patria: e prima di qua venire, stando nella mia patria, io m'educavo al culto di Foggia!» (Panegirico di S. Maria dei Sette Veli, 1912)
L’avvio delle sue Memorie storiche del Comune di Acicatena (1892) è tutto affettuosamente manzoniano: «Sulla falda orientale dell'Etna, ad un miglio da Acireale, andando verso ponente, a pie' d'una distesa e prolungata balza di lave, e là dove il terreno con dolce pendio va a farsi pianura, sorge il Comune di Acicatena ...». E subito nell'autore emerge la giustificazione dell'opera che vuole essere «un ricordo dell'amore» che porta alla sua terra e contemporaneamente l'avver­timento ai posteri che la storia patria, «di cui tanta parte è Maria, s'incentra e fa capo», è posta sotto il segno della sua materna protezione.
Accingendosi a stendere il Panegirico di Maria SS.ma della Catena (1900), forse il suo capolavoro oratorio, dichiara che gli è dolce «cogliere questa occasione per mostrare ad un tempo, con opera più durevole il suo sentimento di cittadino e la sua devozione di credente». Ma non consente che l'affetto si converta deliberatamente in spirito campanilistico, intaccando la serietà e la limpidezza dell'analisi. Infatti, se «sveltissimi d'ingegno sono i catenoti, ed è peccato che alle volte tanti si veggano poltrire e languire in futilissime inezie», è anche vero che «facendo un confronto tra quello che siamo e quello che furono i nostri, mi pare assai chiaro che non siamo andati avanti, ma ogni giorno scadendo (Memorie storiche).
Monumento Funebre Mons. Bella
Monumento Funebre Mons. Bella
Foto: O. Greco
E di questo scadimento «i catenoti» diedero il primo saggio, quando nel 1932 dedicarono al loro più illustre concittadino un mediocre monumento funebre e intitolarono alla sua memoria una viuzza stretta e tortuosa. Poi, con gesto riparatore, l'intitolazione fu trasferita ad una via più importante e centrale. Calato nella realtà e nella storia, il suo discorso è sempre concreto come il suo agire, sapendo cogliere i segni dei tempi. Già nel 1909, pronunziando a Giarre il Panegirico di S. Isidoro Agricola, avverte che nelle nostre contrade «le campagne si spopolano e le città s'ingombrano. I campi restano deserti e l'agglomerato di tante braccia nelle città acutizza la crisi... esagera i fitti delle abitazioni».
Rivolgendo la parola al Comitato interparrocchiale di Acireale nel 1899, avverte: «La Sicilia seguiterà ad essere la cattolica Sicilia; ma assonnandoci ancora forse per qualche decennio, io temo, io temo forte che tale lode non diventi per noi un irrisorio titulus sine re!» (Perché restiamo inerti?). La produzione di monsignor Bella non si esaurisce nelle citate pubblicazioni, ma accompagna con ritmo costante tutto l'arco della sua vita. Ne ricordo ancora qualcuna: Storia della letteratura italiana, vol. 2, (1908); Lezioni di scienze positive comparate con la fede, vol. 3 (1908); Aci, S. Filippo e Aquileia: risposta a V. Raciti Romeo (1913); La Sacra Sindone: panegirico (1899); La religione e il lavoro (1899) le orazioni funebri: Mons. G. M. Genuardi (1908); Mons. G. La Spina (1910) Ignazio Emanuele nob. Rossi 1909); Mons. Pasquale Pennisi Alessi (1917) e infine tutte le Lettere pastorali.
I panegirici, le orazioni e i discorsi rivelano potenza di sentimento, larghezza di vedute, umanità profonda e slancio lirico. Perciò egli entra con pieno titolo nella storia dell'eloquenza sacra italiana accanto a Giuseppe Alessi e a Gaetano Alimonda. Ma il Bella fu anche efficace oratore nella predicazione ordinaria che non sempre lasciò scritta, nella quale manifestò uguale e forse maggiore ricchezza di sentimento e di immaginazione e soprattutto vera carità evangelica. E qui mi permetto di aggiungere che sarebbe auspicabile una edizione che raccolga in unico volume i panegirici, le orazioni e i discorsi, nonché le sue lettere pastorali, prima che vadano irrimediabilmente dispersi. Non è da meravigliarsi se una attività così incalzante e versatile ne logorasse anzitempo la fibra.
Perciò, essendo morto monsignor Arista, il Santo Padre nel 1921 lo invitò a lasciare Foggia per occupare la sede di Acireale per motivi di salute. Riporto un passo del suo colloquio con Benedetto xv tratto dalla sua ultima lettera pastorale rivolta alla diocesi di Foggia (La volontà di Dio, 1921): «Santo Padre, e perché? - La vostra salute, per cui mi persuasi a non mandarvi a Siracusa, mi spinge a non lasciarvi a Foggia.- Santo Padre, son pronto ad ubbidire, ma ai miei Foggiani, che mi hanno voluto tanto bene che dirò? - I Foggiani non potranno lagnarsi, non potranno esigere di più da voi. Avete rinunziato ad una pro mozione, ad un arcivescovado, e poi ad Acireale andate per la vostra salute».
Ad Acireale tornò per la sua salute. Ad Acireale si spense a 59 anni, nella quaresima del 1922. Quando era prevosto ad Acicatena, in uno dei canti in onore di Maria SS. della Catena, composti per il suo popolo, aveva pregato: «o Madre, tiraci in alto i cuori, - sino all'altezza di tua virtù - sino alle braccia del tuo Gesù. - Scioglimi o Madre dal laccio rio: - dammi la libera vita di Dio!».

 (Salvatore Pappalardo, Chiese e Quartieri di Acicatena)