Chiesa di SS.mi Elena e Costantino

Album Fotografico

Salvatore Pappalardo, Chiese e Quartieri di Acicatena  

E vi fu un tempo in cui c'era crisi nel mondo e in Italia. C'era crisi nel territorio dei Morti. Si era nel primo dopoguerra, intorno agli anni venti, e gli abitanti dei Morti diventavano sempre più poveri. Quelli di Rua erano poverissimi, erano depressi e vivevano di ripieghi. Molti si adattavano a chiedere l'elemosina e si sfamavano come potevano, si vestivano come potevano.
Anche la chiesa partecipava a quello squallore e a tutta la miseria che la circondava. Anche la chiesa, al colmo della decadenza e della vecchiaia, appariva bisognosa di aiuto. I telai delle vetrate corrosi e sconnessi. Le due porte d'ingresso, scardinate e logorate. Il pavimento invaso dall'umidità. Le pareti, scrostate e scolorite. La sagrestia con la volta cadente; la facciata, durante l'inverno battuta dalle piogge e dal vento, deformata e annerita, il campanile pericolante. Era veramente bisognosa di aiuto.
L'arredamento pressoché inesistente, l'organo sconquassato e senza fiato, il vasellame incrinato e smozzicato. Le tele sbiadite e senza vita. Tutto era espressione di una vecchiaia precipitata nella miseria. Ovunque immagini delle cose morte e trapassate. La chiesa dei Morti si avviava essa stessa alla morte.
Se non fosse stato per il vecchio orologio, il quale con voce nasale avvertiva del trascorrere del tempo, nessuno più avrebbe sentito la presenza di quella chiesa. Pareva attirata da una forza fatale verso le migliaia di morti sepolti e disseccati nei suoi scuri sotterranei, verso la moltitudine di bare sconnesse accatastate sotto il suo pavimento, per formare una massa compatta con i resti dei tanti battezzati che negli ossari lentamente si sbriciolavano.
Con triste rispetto, i viventi del quartiere miravano quel lento decomporsi, quel tacito sparire. Non sapevano intervenire, non potevano agire, perché solo alla morte spettava svolgere quell'ineluttabile e geloso ruolo. E il tempo passava. Ma, un giorno, un uomo, solo tra i tanti, si oppose alla morte. Era nativo del posto e la sua abitazione sorgeva a poche decine di metri dalla chiesa. Amava ardentemente la sua terra, amava la sua chiesa, gli uomini, le donne, i bambini che gli erano vicini, perché era sacerdote.
Anche lui vedeva il soffrire della povertà e della miseria. Anche lui era stato colpito dal flusso cadente delle cose e vedeva avvicinarsi la morte della chiesa. Ma solo lui, Alfio Gangemi, comprese che quella decadenza non doveva raggiungere l'epilogo. Intuì una scintilla di vita. Vide e conobbe aneliti di sopravvivenza. Si decise e disse: «Rivivi tu, vecchia chiesa! Stai salda, riprendi la tua vecchia parte!». La chiesa sopravvisse e non morì. Rinacque e rifiorì, perché sulla vecchiaia s'innestò la giovinezza del cuore di Alfio.
Bambino di Praga
Bambino di Praga
Foto: G. Trovato
La chiesa dei Morti in parte risanò i suoi acciacchi, in parte li copri. Sì ammantò di colori sgargianti e di tendaggi. Si riempì di fedeli e di luci. Alfio s'affacciava sorridente dalla sagrestia: «Guardate, piccoli amici, la casa del Signore. Considerate voi se io non debba essere lieto. Accorrete, riempitela di preghiere e di gioia!». Alfio stava al centro del coro, nello splendore delle sacre funzioni: festa del S.Bambino di Praga che si venera con devozione nella chiesa S. Elena e Costantino, S. Pietro, solennità della Madonna, ottavario dei defunti, festa del Bambino di Praga, Pasqua e Natale. S'addossava, in cotta e stola, alle balaustre: «Squillate, voci di giovani. Levatevi voci di anziani e di vecchi. Inneggiate al Signore, portate il suo nome nelle case, sulle strade, nei campi, come raggi di luce!».
E’ difficile dire con quale dedizione e affetto egli abbia amministrato la chiesa dei Morti per oltre un decennio. Essa divenne un centro di vita, un'attrazione per tutto il territorio. Poi un giorno Don Alfio Gangemi disse: «Vi ho voluto bene tutti, ho fatto quel che ho potuto, come ho potuto!». E scomparve. Chiese ed ottenne di essere accolto nella Compagnia di Gesù, divenne gesuita e fu destinato a Palermo. Raramente rivide e visitò la sua antica chiesa, rinata a nuova vita.
Altri cappellani e rettori si succedettero nel tempo, fino ai nostri giorni. Ma il tempo e le distanze non contano.
Egli è rimasto nella sua chiesa con gli uomini e con le donne di quella generazione e delle generazioni che verranno. Invisibile spettatore, assiste ancora con il cuore palpitante di gioia alle solenni funzioni che si svolgono nella chiesa dei Morti.